Kaldbaks-kot, cottage numero 15, 23 febbraio 2020. Una buona idea potrebbe essere cominciare descrivendo il panorama che si gode dalla finestra della stanzina dove passerò la notte, ma il problema è che non si vede granché. Un muro di neve alto quasi quanto il cottage lascia spazio a malapena a una fascetta di cielo, in alto. È azzurro, e conviene che mi affretti a scrivere che è azzurro, dato che nel frattempo potrebbe non esserlo già più, qualcuna delle impazienti nuvole di qui (perché poi vadano così di fretta non l’ho mai capito) potrebbe averlo macchiato, aggiungendo altro bianco al quadro che riesco a osservare rimanendo sdraiato sul letto. Non è esattamente una rapsodia cromatica, quest’opera. L’unica, leggera variazione di colore è data dall’ombra che scurisce un poco le sinuose cavità prodotte dal lavorio del vento nel muro di neve che mi circonda, e che a qualcuno dotato di buona immaginazione potrebbe ricordare certe pareti di roccia sedimentaria. Se anziché neve quella fosse arenaria potrei dire di trovarmi in un rosso canyon dell’Arizona, ma invece quella è neve, ed è bianca, e io sono nell’Islanda nel nord, nel pezzetto di Islanda che degrada dolcemente nel lato est della baia di Skjálfandi.
Il cottage e la baia sono separati da due laghetti artificiali, completamente ghiacciati, piccole depressioni sulle quali la neve più fresca, la sola che il vento riesca a sollevare, scivola a gran velocità, formando delle autostrade di fumo bianco che non portano da nessuna parte. In estate nei pressi dei laghetti bazzicano più di 90 diverse specie di uccelli, e la piccola veranda antistante il mio cottage, dove mi sono spostato anelando invano ad altri colori, è ambita da ornitologi d’ogni sorta. D’inverno un po’ meno: volatili e loro spasimanti hanno di meglio da fare, così che questo e gli altri 17 cottage di Kaldbaks-kot (dal nome di una fattoria preesistente, che a sua volta portava il nome di una montagna traducibile come “riparo dal vento”) rimangono a lungo inutilizzati, con i binocoli di cortesia riposti mestamente nelle custodie e i pittoreschi ingressi sepolti dalla neve.
Per smuovere un po’ gli affari, qualche giorno fa il 68enne Sigurjón Benediktsson, proprietario, costruttore e manager della struttura, ha deciso di lanciare un’offerta promozionale tanto singolare quanto irrinunciabile – almeno per me: chiunque, armato di pala da neve, fosse riuscito ad aprirsi un varco e a raggiungere uno dei suoi cottage, avrebbe potuto soggiornarvi gratis. Gli alberghi di Húsavík, che dista meno di tre chilometri da Kaldbaks-kot, in inverno hanno tariffe assai competitive, ma Sigurjón voleva proporre un prezzo “impossibile da battere”, come mi ha spiegato quando l’ho incontrato nel parcheggio dell’area che introduce ai cottage, questa mattina, poco prima di augurarmi buon lavoro. Mi avrebbe anche dato una mano, mosso a compassione dalla mia buona volontà (ad oggi sono l’unico ad aver accettato la sua sfida), ma sostiene che da quando l’hanno operato al cuore gli è stato impedito di fare due cose in particolare: passare l’aspirapolvere e spalare la neve. Mi sarei dovuto accontentare di una sua buona parola e delle feste di Ösp, il pastore islandese che gli fa compagnia e che ha chiamato come un albero: ösp vuol dire “pioppo”.
Dalla veranda ammiro non senza orgoglio la stradina che ho scavato in circa due ore e mezza di allegro esercizio della pala, un’eternità per uno nato e cresciuto al centro del Mediterraneo. È stretta, e le nevicate previste in settimana con buona probabilità la renderanno di nuovo inagibile, ma oggi è pienamente funzionante. Le pareti laterali sono alte mezzo metro, non di più, tanto mi è bastato scavare per raggiungere uno strato di neve talmente compatto da rendere sicuro camminarci sopra. Non so bene quanta altra neve ci sia al di sotto del mio manto stradale, probabilmente tanta. Qui nevica più che in paese, nonostante l’orizzonte che ho di fronte non sia in realtà uniformemente candido. Il motivo sono gli alberi che spuntano smagriti ovunque tra i cottage: Sigurjón e sua moglie Snædís hanno piantato oltre duecentomila tra salici, betulle e pioppi da quando sono arrivati qui, nel 1977. Mentre la luce del tramonto veste d’argento i rami innevati, mi viene in mente, in un’altra discutibile similitudine, che alcuni scorci di Kaldbaks-kot ricordano quasi più il Canada che la solita Islanda.
Senza più sole, i meno cinque gradi cominciano a martellarmi il naso arrossato e le mani provate, dunque decido di rientrare. Tra un paio d’ore qui sarà solo buio e silenzio. Ösp ha terminato le sue ricognizioni serali, e sono passati già diversi minuti dall’ultimo cumulo di neve rotolato con fragore giù dal tetto. Nel cottage non c’è nemmeno la pendola della casupola del Concerto dei pesci, che secondo Halldór Laxness «scandiva ticchettando una parola di quattro sillabe, e-ter-ni-tà, e-ter-ni-tà». Quando avrò girato la manopola del radiatore e rallentato il flusso dell’acqua geotermale che manterrà la mia stanzetta calda, comincerà una lunga parentesi di quiete, il motivo ultimo per cui ho accettato l’offerta di Sigurjón, una meritata notte di solitudine in cui non succederà assolutamente nulla.
Leonardo Piccione scrive di luoghi e storie non troppo convenzionali. Il suo Libro dei vulcani d’Islanda e’ stato pubblicato in Italia da Iperborea nel 2019.
Gli Húsavík Cottages si trovano appena a sud della cittadina di Húsavík, e sono aperti a tutti d’estate, e ai piu’ avventurosi d’inverno.
Writer @ledep accepted the strangest offer, a free winter time stay at Húsavík Cottages in exchange for shoveling his way to the hut. https://t.co/S0WJexDF73 pic.twitter.com/u6RsTuE51i
— Húsavík Observer (@HusavikObserver) February 25, 2020